Adriana Grotto ha la distrofia dei cingoli. Di origini argentine, dai primi anni ’90 vive in Italia. Un filo sottile lega la sua vita al di là e al di qua dell’oceano: la ricerca dell’autonomia e il desiderio di essere sempre padrona della propria vita.

 

Da dove nasce il tuo desiderio di essere indipendente?

A 20 anni ho acquistato il mio primo scooter per riuscire a muovermi agevolmente. A 23 anni, ero già in carrozzina, sono andata ad abitare da sola,. A quel tempo mi trovavo ancora in Argentina. Collaboravo nell’attività di famiglia ma questo non mi permetteva di vivere in modo autonomo. Ho cercato quindi un lavoro che mi permettesse di raggiungere l’indipendenza economica e mi offrisse delle tutele sanitarie per la mia patologia. In quel momento è arrivato il lavoro alla Biblioteca nazionale argentina.

 

Nel 1991 il tuo arrivo in Italia. Come è stato ripartire in un altro Paese?

In Italia sono arrivata con mio marito e abbiamo avviato un’attività qui. Fin da subito ho cercato di trovare la mia autonomia, ma non è stato semplice. Nel 1992 ho partecipato a un corso di educazione all’autonomia al Centro Studi Prisma di Belluno, rivolto alle persone con disabilità e ai caregiver. Nel corso si affrontavano varie questioni relative alla vita indipendente, per esempio la domotica, l’utilizzo degli ausili e la gestione del tempo libero. L’anno successivo sono diventata coordinatrice dei gruppi all’interno di questo progetto.


La tua vita è stata un susseguirsi di cambiamenti e di nuove sfide da affrontare.

Nel 1997 mi sono separata. Questo ha prodotto un ulteriore cambiamento nella mia vita. Ho cambiato casa, ho cambiato posto di lavoro per essere più autonoma nei trasferimenti. Mi sono organizzata con i servizi assistenziali del mio Comune e con cooperative private per trovare degli assistenti che supportassero il mio bisogno di indipendenza. Un gioco di incastri per riuscire a trovare le persone giuste e a pagarle.

Dopo qualche anno mi sono risposata. In quel caso autonomia non significava solo gestire i miei bisogni perché andavano ad aggiungersi ai bisogni di mio marito. Sono riuscita a fare molto, in quel periodo ho anche avuto in affido temporaneo dei bambini, prima per poche ore, poi a tempo pieno.
Dopo essermi separata la seconda volta ho dovuto cercare alcune persone che mi supportassero nella vita quotidiana. E ripartire nuovamente nella stessa casa in cui già abitavo.

 

Come funziona la progettazione per la Vita indipendente?

La Regione Toscana prevede dei fondi per i progetti di Vita indipendente. I progetti sono costruiti insieme all’assistente sociale, la richiesta per i fondi deve essere rinnovata ogni anno e dipende dal reddito, dal tipo di disabilità e dalla vita che la persona conduce. Viene valutato il grado autonomia che la persona vuole raggiungere. L’obiettivo finale è l’autonomia della persona rapportata ai fondi messi a disposizione dal singolo Comune. 

 

Quindi la persona è al centro di un progetto di Vita indipendente.

Sì, è esatto. Io mi alzo, mi sposto, vado a fare la spesa, lavoro, faccio volontariato. Non sono un fruitore passivo dei fondi che vengono messi a disposizione. Io sono un datore di lavoro vero e proprio perché da parte mia c’è un investimento per assumere gli assistenti personali. I fondi per la Vita indipendente non coprono totalmente le spese, lo Stato eroga un contributo cospicuo ma io partecipo mettendoci del mio. In questo modo si crea un circolo virtuoso, si genera lavoro per gli assistenti e le cooperative. Loro aiutano me ma io aiuto loro offrendo un lavoro: è uno scambio alla pari. In questo modo la persona con disabilità non è un peso per la società, ma un soggetto attivo perché fa muovere l’economia. Io non voglio essere un soprammobile: svolgo il mio lavoro ogni giorno, ho un ruolo nel mio ufficio e se manco si sente.

 

Come è organizzata la tua giornata?

Gli assistenti ci sono la mattina per prepararmi al lavoro, all’ora dei pasti e la notte. In diversi momenti della giornata sono da sola. Qui si mette in gioco l’arte di arrangiarsi. In genere sono una persona che non corre rischi e cerco di fare in modo che tutto sia organizzato nei minimi dettagli quando sono da sola. Si tratta per esempio di riuscire ad aprire la porta se arriva qualcuno, avere qualcosa da bere se ho sete, il telefono e il computer o quanto mi serve a portata di mano.

 

Da cosa parte un progetto di Vita indipendente?

La persona con disabilità deve avere un forte desiderio di autonomia. Per un progetto di Vita indipendente è necessario definire chiaramente gli obiettivi, stabilire quali tipi di supporti ci sono a disposizione, stabilire contatti con realtà e associazioni che possono sostenere la persona con disabilità. Non si tratta di assistenzialismo. La persona con disabilità che vuole essere autonoma non deve dire “io voglio”, ma “io voglio realizzare”.
Per il mio progetto ho cercato sul mio territorio associazioni quali UILDM, ma non solo, che mi potessero dare stimoli, idee e supporto. È importante che la persona con disabilità crei intorno a sé una rete e delle sinergie.

 

Cosa significa per te Vita indipendente?

Vivere come chiunque altro. Avere la possibilità di scegliere, uscire di casa, mangiare, andare al lavoro, vedere gli amici.